Ecco una proposta per tutti coloro che desiderano vivere la grande e rigeneratrice “medicina” offerta dai ritmi di vita propri del particolare mondo delle terre alte. Tradizionale o moderna, l’invito è quello di salirvi nella prima mattinata in modo da poter vedere e sentire il bestiame al pascolo e assistere alla lavorazione del latte per la produzione del burro, del formaggio e della ricotta. I prodotti lattiero caseari possono essere acquistati direttamente e il casaro è sempre disponibile a soddisfare ogni vostra curiosità. Ricordate che sapori e profumi cambiano di malga in malga: perché non provare a ricercare il “sapore perfetto”?
Per i visitatori più giovani si presenta anche l’occasione per seguire i pastori al pascolo e con la loro sicura e competente guida apprezzare mirtilli e lamponi, conoscere qualche erba e fiore medicinale o aromatico, vedere o sentire i veri abitanti di questi luoghi quali, per citare sempre i più noti, l’aquila, il camoscio, il capriolo, il cervo e la marmotta.
Oltre alla ricettività agrituristica, segnalata per ogni malga nel sito, scoprirete che in alcune strutture si possono assaporare piatti della tradizione e assaggiare prodotti della montagna friulana, dormire, magari con il sacco a pelo e godere così dell’incanto della volta stellata e dei suoni della notte.
Non dimenticate, all’andata o al ritorno, di visitare i borghi e i paesi, punti di partenza per la vostra salita in malga, da raggiungere con mezzi adeguati. Questi luoghi incorniciati dalle montagne e da boschi di insuperabile bellezza racchiudono curiosità e luoghi interesse storico e culturale che vi stupiranno.
La secolare pratica dell’alpeggio indica l’attività agro-zootecnica con le mandrie in altura.
Deve la sua origine principalmente a motivi di carattere agricolo, economico e di praticità.
Nelle zone alpine e prealpine il bestiame, in particolare quello bovino, era la fonte primaria di reddito e, più alto era il numero di capi che si potevano mantenere, maggiori erano le possibilità di sussistenza a disposizione della famiglia.
Strettamente legate all’aspetto economico troviamo le operazioni della fienagione che, nei paesi delle valli montane, si protraeva da giugno a settembre e vedeva occupate le persone dall’alba al tramonto.
Allo stesso tempo, una stalla con capi da accudire richiedeva un gravoso impegno giornaliero, a scapito della fienagione. Balza evidente che, inviando il bestiame all’alpeggio, ci si poteva dedicare maggiormente alla produzione di foraggio nella quantità necessaria per il mantenimento degli animali al loro rientro nelle stalle a fine stagione.
Anche di fronte ai grandi cambiamenti sociali di questi ultimi decenni, i motivi fondanti l’origine della transumanza rimangono sempre validi, pur non parlando più di piccole aziende a carattere famigliare, ma di unità produttive zootecniche più consistenti e condotte con le più moderne tecniche gestionali.
Dal 13 giugno, festa di San Antonio, all’ 8 settembre, giorno dedicato alla Natività di Maria Vergine, le terre alte si popolano di vacche, pecore e capre che convivono, con discrezione, con i naturali frequentatori dei pascoli alpini quali camosci, caprioli, cervi, lepri e marmotte, per limitarci ai più noti. Avviciniamoci ora alla malga, questa residenza estiva che alcuni bambini hanno definito “la casa di vacanza delle mucche”.
Definiamo malga l’insieme di quattro elementi: il pascolo “passon”, l’abbeveratoio “aip” o “poce da l’aghe”, la stalla “loze” e la casera “casere”.
Dei quattro, il pascolo e l’acqua sono i più importanti, poiché l’ampiezza, l’ubicazione, la qualità dell’erba del primo e la fondamentale presenza del secondo sono determinanti per la possibilità di “soggiorno” del bestiame, per il loro numero e per la qualità della vita. Il ricovero delle mandrie o meglio “las lozes”, sono delle costruzioni in muratura, con il tetto un tempo ricoperto di tavolette di legno di larice “scjandules”, ordite nel senso della pendenza.
La “casere” è una costruzione in muratura che richiama una normale casa, costruita nella vicinanza delle logge, spesso a chiusura di un cerchio o altra forma geometrica, dettata dalla conformazione del terreno.
La casera tradizionale è una costruzione spartana che si limita all’essenziale per la vita delle persone e per la lavorazione del latte.
Al piano terra ci sono due locali: uno adibito a cucina/alloggio per il malghese e per la lavorazione a ciclo completo del latte; un altro, più piccolo, per la stagionatura del formaggio “celâr”. Il pavimento è in pietra e tutto ruota attorno al focolare a fiamma libera che consente anche l’affumicatura delle ricotte poste sopra una graticola “secjarole”. Non c’è un soffitto e il fumo esce dall’apposito rialzo di colmo del tetto.
Da un angolo parte la scala che porta al piano superiore dove, sul solaio in legno in corrispondenza della stanza di stagionatura del formaggio, c’è un vano a mansarda adibito a camerata per il riposo notturno.
Oggi quasi tutti questi edifici sono stati ristrutturati, resi funzionali e rispondenti alle attuali normative igieniche richieste.
Come su tutte le Alpi, anche nella cerchia alpina e prealpina del Friuli Venezia Giulia, l’alpeggio ha una sua storia secolare con ritmi, tempi e usanze ataviche.
La transumanza trova testimonianze precise nel periodo del Patriarcato di Aquileia (1077-1420). Particolare importanza assume la concessione, fatta nell’anno 1275 dal patriarca Raimondo della Torre alla popolazione della Carnia, di poter mettere a coltura i terreni sino allora utilizzati come prato e pascolo, dietro corresponsione di una “decima”.
Le aree più comode furono trasformate in coltura per cercare di soddisfare le crescenti necessità alimentari della popolazione. La conseguente perdita di appezzamenti agricoli spinse alla ricerca di pascoli sostitutivi, provocando l’espansione di quelli in quota, ottenuti per disboscamento. Nei fondi di media montagna sorsero degli stavoli “stâi” atti alla conduzione estiva del bestiame: esso saliva a giugno e si nutriva utilizzando i prati distanti dal paese, mentre le foraggere di fondovalle venivano falciate per costituire la riserva di fieno per la stagione fredda. A quote più elevate sorsero le malghe.
Caduto il Patriarcato e subentrata la Repubblica di Venezia (1420-1797), lo sfruttamento degli alpeggi fu regolamentato e furono posti dei divieti per pecore e capre al fine di proteggere soprattutto i boschi di faggio.
Nel breve periodo napoleonico (1797-1814) sorsero i Comuni e non ci furono novità per le terre alte.
Durante il dominio asburgico (1814-1866), l’utilizzo dei pascoli e dei boschi venne sempre più regolamentato e i Comuni, che dai patriarchi avevano avuto in dono le malghe, vendettero alcune proprietà a dei privati. In questo periodo assunse notevole importanza il censimento dei pascoli alpini; il fatto che a loro venisse attribuita una rendita ai fini fiscali, superiore a quella dei prati vicini ai paesi o di fondovalle, sta a dimostrare l’importanza assunta dalle malghe per l’amministrazione asburgica.
Dal 1866 il Friuli venne annesso al Regno d’Italia e le leggi di fine secolo favorirono i boschi a scapito dei pascoli, ma la gran parte delle malghe, per la loro ubicazione spesso oltre il limite della vegetazione arborea, non ne risentirono.
Tali effetti negativi sono stati particolarmente intensi nel Friuli Venezia Giulia dove il territorio montano, che rappresenta oltre il 40% della superficie regionale, è caratterizzato da una condizione economica e sociale svantaggiosa e marginale rispetto a gran parte delle aree alpine. Agli inizi del secolo scorso nella nostra Regiona si contavano circa 350 malghe attive e il numero rimase elevato fino al secondo dopoguerra quando, anche in seguito all’espansione dell’industrializzazione e del terziario, iniziò un rapido calo.
Per una corretta lettura di questi ultimi dati, che potrebbero far pensare ad una caduta verticale, bisogna prendere in considerazione il fenomeno recente dell’accorpamento di alcuni alpeggi in un’unica realtà economica. Meno aziende, quindi, ma più consistenti.
Il processo di modernizzazione delle strutture malghive ha determinato adeguamenti strutturali e igienico-sanitari dei locali abitativi e di trasformazione, nonché il potenziamento della viabilità di accesso e di servizio all’alpeggio, favorendo nel contempo l’aspetto turistico. Nel corso degli anni Novanta diverse unità produttive in quota sono state ammodernate anche al fine di sviluppare un’attività agrituristica di ristorazione e alloggio.
La malga è un’azienda agricola, sita in alta montagna, ad apertura stagionale. Il referente principale è il malghese che, proprietario o affittuario, dirige la conduzione delle varie attività: custodia e cura degli animali a lui affidati, gestione del pascolo, organizzazione della giornata di lavoro e coordinamento delle risorse umane, animali e materiali. Solitamente le sue mansioni pratiche consistono nella lavorazione del latte e nella cura della cucina. Accanto a lui i suoi collaboratori, gli aiuto casaro ed i pastori, che hanno una loro specializzazione a seconda dell’età ed esperienza.
Lo scenario della montagna friulana, dal punto di vista agricolo, è storicamente legato alla presenza di diversi piccoli nuclei famigliari, ciascuno dei quali coltiva il suo pezzetto di territorio, in tutti i suoi aspetti di produzione e di tutela ambientale, così da ricavarne i frutti possibili per sé e per la propria famiglia.
In passato si era assistito ad un lento e inesorabile abbandono delle attività pastorali in alpeggio. Oggi, grazie alla riscoperta delle produzioni casearie tipiche, molti giovani allevatori alpini sono stimolati a rinnovare l’interesse per l’agricoltura di montagna e a produrre formaggi, ricotte e burro dalle caratteristiche inimitabili.
Si tratta di prodotti ricchi di sapore, di antica tradizione, tanto che si può affermare che ogni alpeggio esprime molteplici note di gusto e aroma dei propri latticini.
La variabilità di terreni, vegetazione e microclima che caratterizza ogni singola malga e l’assoluta naturalità delle razioni alimentari degli animali, rendono il latte ricco di fermenti e microrganismi il cui numero e specie sono tipici di ogni ambiente.
Questo vivace mondo microscopico, popolato da miliardi di esseri viventi, unitamente alle caratteristiche degli edifici in cui avviene la trasformazione casearia e l’affinatura, influiscono positivamente sullo sviluppo e sulla ricchezza dell’aroma di queste produzioni.
Il formaggio di malga, la ricotta affumicata e il burro sono i simboli caseari della montagna friulana; ricordiamo inoltre che anche il “Formadi salât”, il “Cuincîr” e il “Formadi frant”, unitamente ai “caprini” rientrano a buon diritto tra le culture casearie storiche della nostra terra. Il “Cuincîr” o “Scuete frante” è la ricotta appena pressata e frantumata che, con aggiunta di panna sale, pepe ed eventuali semi di finocchio selvatico, acidifica e matura in appositi contenitori per 40-50 giorni.
Tipico delle terre alte di tutta la regione, il formaggio di malga è diffuso in Carnia, Val Canale, Canal Del Ferro, Gemonese e nella zona montana del Pordenonese. La classica forma cilindrica a facce piane si presenta con scalzo di 8-10 cm, diametro di 25-30 cm e peso compreso tra 4 e 6 kg.
La crosta è liscia e abbastanza regolare. La pasta ha un colore che tende al giallo paglierino più o meno intenso, con occhi di dimensioni variabili ma uniformemente distribuiti.
Si ottiene dal latte parzialmente scremato della mungitura serale, unito in caldaia a quello intero del mattino, cui può essere aggiunto del latte di capra (max 15%).
La tecnologia del formaggio prevede l’uso del lattoinnesto naturale, al fine di migliorare la flora microbica presente nella massa e per garantire le caratteristiche tipiche del prodotto.
Tradizionalmente il latte, versato in una caldaia in rame, viene riscaldato con fuoco diretto a legna e coagulato con l’impiego di caglio bovino in polvere. Si procede poi alla lavorazione casearia tradizionale.
Al palato risulta di gusto pronunciato con note vegetali di pascolo, a volte accompagnato da un leggero retrogusto amarognolo, sempre comunque piacevole.
Se stagionato nel “celâr” per un lungo periodo può anche essere usato come formaggio da grattugia “Formadi vecjo di mont”.
Oltre al formaggio di malga, anche la ricotta affumicata viene prodotta in tutte le malghe da latte della nostra regione, è uno dei prodotti più apprezzati dai friulani, spesso presente nei piatti della tradizione.
Di forma leggermente conica, ha un peso che va da 0,5 a 1 kg, con superficie ruvida e di color bruno; la pasta è bianca, asciutta e granulosa nella versione da grattugia, mentre si presenta più morbida e pastosa nella versione da tavola.
Si ricava dal siero rimasto in caldaia dalla lavorazione del formaggio, a volte arricchito con una modesta quantità di latte. Portato a ebollizione, e per effetto di un acidificante talvolta sostituito dal “siç” (siero acidificato con acetosa e corteccia di faggio), si forma la ricotta che affiora in superficie.
Dopo la raccolta della ricotta nei sacchetti di lino, si procede alla sgocciolatura e pressatura. In seguito si passa alla fase della salatura a secco. Infine, il processo produttivo si conclude con l’affumicatura, che può essere leggera per ricotte dedicate al consumo in tavola o decisa e prolungata per i prodotti da grattugia che vengono sapientemente impiegati nella preparazione di piatti tradizionali della montagna friulana.
Questo prodotto, nella cultura dell’alpe, si ottiene dalla panna “brume” di affioramento del latte della sera, ricca di fermenti lattici e quindi sufficientemente acida per giungere ad un latticino di alta qualità.
La zangolatura, che consiste nello sbattimento della panna, favorisce la rottura della membrana esterna dei globuli di grasso e separa la fase acquosa (il latticello “batude”). La materia grassa in fase fluida ingloba tutte le altre componenti della crema e crea la particolare struttura del burro.
All’assaggio si devono valutare:
– il colore giallo per la presenza del carotene nell’erba fresca dei pascoli;
– la struttura pastosa e fondente a seconda dell’alimentazione degli animali e delle condizioni di temperatura durante le fasi tecnologiche di burrificazione;
– l’odore più o meno intenso in funzione del grado di maturazione della crema;
– il sapore leggermente acido dovuto alla maturazione della panna. Un buon equilibrio è dato dalla sensazione di freschezza che lascia in bocca.
Considerato che il grasso ha la proprietà di assorbire odori esterni, è necessario porre molta attenzione alle modalità di conservazione.
Tradizionalmente l’attività di alpeggio prevede che, durante il periodo estivo, i bovini allevati dalle aziende di fondovalle vengano trasferiti sui pascoli delle malghe. Di conseguenza le razze che ritroviamo in quota riflettono prevalentemente la stessa distribuzione tra le varie popolazioni animali presenti negli allevamenti.
Accanto alle bovine di “Pezzata Rossa Italiana”, “Bruna Italiana” e “Grigio Alpina”, che ben si adattano al pascolo, osserviamo anche altre razze quali: la “Pinzgau” e la “Pustertaler”, accomunate da una spiccata rusticità, risultato della selezione genetica applicata a popolazioni bovine adattate alle specifiche condizioni locali dell’arco alpino.
Il pascolo costituisce una condizione ideale in termini di benessere animale, di conseguenza in malga possiamo sporadicamente osservare la presenza di altre razze bovine meno adatte all’alpeggio, quali per esempio la “Frisona Italiana”. Molto spesso si tratta della giovane rimonta degli allevamenti da latte della pianura che preferiscono favorire lo sviluppo armonico dei propri animali assicurandone un periodo in alpeggio.
In alcune malghe troviamo anche razze bovine con attitudine alla produzione della carne, quali ad esempio la “Limousine”, la cui presenza è legata a situazioni casuali o alla necessità di garantire il completo utilizzo del pascolo.
La Catena Carnica Principale, ma anche i massicci delle Alpi e Prealpi Giulie, hanno da sempre destato grande interesse dal punto di vista geologico per la presenza di una serie di successioni stratigrafiche assai ricche di fossili. Questi strati sedimentari di origine marina, che dall’inizio del Paleozoico arrivano fino alla fine del Mesozoico, sono come i fogli di un libro aperto su cui leggere la storia dell’evoluzione della vita sulla terra.
Ciò che ha prodotto questi effetti sono state le poderose spinte delle orogenesi Ercinica e Alpina, della Zolla Africana verso la Zolla Eurasiatica, che hanno determinato, in milioni di anni, il sollevamento dei fondali marini in più successioni, fino a formare la catena alpina orientale.
Ecco allora che nella zona del monte Fleons, in comune di Forni Avoltri, si possono trovare le testimonianze delle prime forme di vita, Briozoi e Trilobiti dell’Ordoviciano (450 milioni di anni fa). I massicci del monte Avanza e del Coglians fanno parte della scogliera corallina del Devoniano (350 milioni di anni fa) e sono ricchi di Brachiopodi, Gasteropodi e Crinoidi.
Nelle zone del monte Dimon e del Zoufplan appaiono affioramenti di rocce vulcaniche del Carbonifero generatesi in ambiente sottomarino, le cosiddette lave a cuscino (300 milioni di anni fa). Più a sud, si incontrano i gruppi dei monti Arvenis-Zoncolan, del Cucco-Tersadia, del Sernio-Grauzaria e dell’Amariana che sovrasta Amaro; essi si sono formati tra il Permiano e il Mesozoico (250 milioni di anni fa) e sono caratterizzati da fossili delle forme di vita più evolute: Cefalopodi e Ammoniti.
Nell’era Neozoica si sono formati i depositi più superficiali, di origine glaciale, lacustre, alluvionale o di versante che, attraverso alterne glaciazioni, conducono fino all’orografia attuale del territorio. Chi si trova a percorrere degli itinerari a piedi per andare da una malga all’altra, prestando attenzione non solo agli incantevoli scenari del paesaggio alpestre ma anche agli affioramenti rocciosi che talvolta si incontrano, potrà esercitare l’occhio a scoprire quel mondo infinito dei fossili che silenziosi e pietrificati raccontano le nostre origini.
Salire in malga permette di immergersi in ambienti straordinari e paesaggi fantastici, inoltre, con un po’ di fortuna, non mancherà l’occasione per incontri inaspettati. Tanti sono gli animali che possiamo osservare guardando con attenzione tra i rami degli alberi o lungo i pendii: cince e picchi, scoiattoli, caprioli e cervi, sui dirupi camosci e stambecchi.
Anche la colonna sonora è delle migliori: vento fra i rami degli abeti e dei faggi, cinguettii e, in sottofondo, il rumore dello scorrere di torrenti e ruscelli.
La vista può godere della delicata bellezza dell’asfodelo, delle felci, dei gigli o dei botton d’oro. Inoltre sui pascoli si possono facilmente riconoscere l’arnica, la carlina, la genziana oltre che le più rare orchidee e la pulsatilla.
Le attività di alpeggio determinano un aumento del grado complessivo della biodiversità e costituiscono un fattore determinante nell’azione di conservazione del suolo da fenomeni di erosione. La ricchezza floristica e la conseguente presenza di numerose specie di insetti, di piccoli mammiferi e invertebrati, garantiscono la sopravvivenza dei maestosi rapaci e di numerosissimi altri animali.
È importantissimo sapere che alcune specie animali si possono osservare ormai solo in questi ambienti, basti pensare che le pozze d’acqua per abbeverare i capi monticati sono uno degli ultimi habitat della rana montana, della salamandra e del tritone alpini.
Anche i galliformi delle Alpi ultimamente stanno subendo una forte contrazione e sono considerati a rischio di estinzione. L’applicazione delle tecniche tradizionali di alpicoltura delle terre alte, garantiscono l’incremento e mantenimento degli spazi naturali aperti, favorendo la riproduzione del fagiano di monte e della coturnice.
La passione per la capra non è una novità in Friuli, ma è piuttosto la conferma di una tradizione antica.L’allevamento di questo ungulato ha sempre avuto radici solide nelle Alpi Carniche e recentemente sta riscuotendo rinnovato interesse, sostenuto da un crescente numero di estimatori delle delizie casearie di capra.
Una piccola percentuale di latte caprino viene usualmente aggiunta in caldaia per conferire una nota di tipicità al “Formadi di mont”. In alcuni alpeggi la lavorazione in purezza del latte caprino ha permesso il ritorno ad antiche origini casearie.
Il latte di capra si presta molto bene alla caseificazione. Il suo coagulo è fragile ma, se viene lavorato con la dovuta delicatezza, ripaga con grandi soddisfazioni. Si possono trovare caciottine nella versione più morbida (10-15 gg di stagionatura), con gusto fresco, leggermente acidulo e dolcemente ircino, oppure le formaggelle a pasta semicotta e idonee a stagionature prolungate, dai caratteri organolettici più decisi ma mai troppo piccanti.
Gli alti pascoli della nostra regione si trovano distribuiti fra gli 800 e i 2.100 metri di quota, limiti entro i quali restano comprese anche le parti superiori delle zone di vegetazione del faggio e dell’abete.
Le piante alpine sono in gran parte “vivaci” e con fioriture precocissime, in conseguenza della breve durata del periodo vegetativo. Essendo provviste di nuove foglie già dalla primavera, possono compiere le loro funzioni più rapidamente della flora annuale della pianura. Il loro portamento è in genere basso e raccolto, con steli corti e foglie ravvicinate, a formare cotiche o cuscinetti compatti. Questo carattere deriva dalla temperatura del terreno superiore a quello dell’aria e dalla necessità di ripararsi dai geli e dalla forte radiazione luminosa, tutte condizioni che limitano l’accrescimento dei gambi.
In massima parte le buone erbe foraggere sono comprese nelle famiglie delle graminacee, leguminose e composite. Troviamo inoltre molte specie aromatiche che, attraverso il pascolamento del bestiame da latte, influiscono in modo inimitabile su sapori, gusti e aromi dei prodotti caseari che ne derivano.
Salire alle malghe significa, per chi proviene da altri contesti socio-economici, immergersi in una diversa dimensione del tempo, dove ogni fase del lavoro non è scandita dalla frenesia del quotidiano, ma dal lento volgere del tempo secondo i ritmi della natura.Ci si sente liberi vagabondi erranti della montagna, in cerca di nuove esperienze e di qualcosa di diverso da raccontare al rientro a valle.
Esplorare per conoscere le nostre radici culturali e, in contesti tecnologici inaspettati, trovare ancora la presenza ed il quotidiano utilizzo di attrezzi di cui non conoscevamo nemmeno l’esistenza. Lo spino “glove”, la lira “ghitare”, la spannarola “cjace forade”, il tavolo di pressatura “tabio” sono solo alcuni esempi di attrezzature casearie tradizionali ancora largamente utilizzate dai casari in quota della nostra terra. La caldaia sospesa in rame “cjalderie dal formadi”, il caratteristico telaio girevole “musse”, i teli “teles dal çuç” ed i sacchetti della ricotta “sachets da scuete” completano il corredo indispensabile per trasformare il latte in malga.
Trascorrere un giorno sull’alpe non è solo attività fisica fine a se stessa, ma una occasione per avvicinarsi e capire questo mondo, scrigno di saperi e saggezza popolare da custodire con rispetto ed orgoglio nel tempo.